Tuesday, January 10, 2012

I farmaci generici

I farmaci generici
È necessario premettere che cosa si intende per equivalenza farmaceutica e per bioequivalenza. Due prodotti sono equivalenti farmaceutici se contengono la stessa quantità di principio attivo, hanno la stessa forma farmaceutica (anche con eccipienti diversi), posseggono standard di qualità identici o comparabili e sono somministrati attraverso la stessa via di somministrazione.

L'equivalenza farmaceutica, ormai lo si sarà capito, non implica la stessa equivalenza terapeutica in quanto differenze negli eccipienti e/o nel processo di fabbricazione possono portare a differenti performance del prodotto. Infatti la forma farmaceutica condiziona la biodisponibilità del farmaco in quanto regola la velocità con la quale il principio attivo entra in circolo e la quantità di esso che viene resa disponibile per suscitare l'effetto terapeutico. Compresse simili contenenti lo stesso quantitativo di principio attivo possono comportarsi in modo significativamente differente e consentire diversi risultati terapeutici al variare di questi fattori.

Una compressa deve disgregarsi nel tratto gastrointestinale e liberare la molecola del farmaco, differenze negli eccipienti o nella pressione con la quale si ottiene la confezione di una compressa possono modificare i tempi di disgregazione e di rilascio del principio attivo capaci di influenzare il risultato terapeutico finale.

Occorre pertanto valutare se il prodotto generico è terapeuticamente equivalente al prodotto di marca copiato. Due prodotti si definiscono bioequivalenti quando i profili di concentrazione-tempo, conseguenti dalla stessa dose molare, sono così simili che è improbabile che producano differenze rilevanti negli effetti terapeutici e/o avversi.

Non esistendo alcun metodo statistico per dimostrare l'uguaglianza di due prodotti, gli studi di bioequivalenza si propongono di verificare l'assenza di una differenza clinicamente rilevante attraverso la stima di una differenza minima ammissibile.
I limiti imposti dalle autorità regolatorie indicano che gli intervalli di confidenza al 90% dei parametri medi presi in considerazione per stabilire la bioequivalenza del farmaco generico rispetto al prodotto di riferimento deve ricadere fra l'80% e il 125% del prodotto originatore. Da notare che questi limiti sono asimmetrici a causa della trasformazione logaritmica dei dati impiegati per la comparazione. I parametri di riferimento sono costituiti dalla concentrazione sierica di picco o concentrazione massima, dal tempo impiegato per raggiungerla e dal rapporto fra le aree sotto la curva di concentrazione plasmatica verso il tempo fra le due formulazioni a confronto. Se l'intervallo per gli studi di bioequivalenza su volontari sani compreso fra l'80 e il 125% è stato adottato sia dall'Emea che dalla Fda, significa che si ammette che le variazioni comprese in tale ambito non comportano ricadute significative sulla risposta terapeutica.

Sebbene alcuni sottolineano che la variazione fra un prodotto e l'altro potrebbe raggiungere il 45%, in realtà questo non accade perché l'obbligo di presentare un intervallo di confidenza entro i limiti stabiliti, spinge i produttori a mantenersi abbastanza vicini al 100%.

Infatti le differenze fra prodotto originatore e generico sono di solito contenute entro il 10% di variazione e più spesso entro il 3%. I farmaci con ristretto margine terapeutico o quelli sottoposti a metabolismo saturabile impiegati per trattamenti prolungati, nonostante necessitino di particolare attenzione, non hanno posto sostanziali problemi.
La problematica relativa alla bioequivalenza riguarda anche i prodotti originali dato che gli studi precommercializzazione sono eseguiti di solito con formulazioni del prodotto farmaceutico diverse da quelle successivamente introdotte sul mercato e spesso le aziende produttive modificano il procedimento industriale di produzione.
Anche in tutte queste circostanze si applicano le regole che sono richieste per valutare la bioequivalenza di un prodotto generico.

Nessun medico desidera procurare nocumento alcuno ai propri pazienti, nemmeno quando prescrive un farmaco generico, naturalmente!
Per questo non si devono avere dubbi o essere condizionati da quelli infondati che subdolamente vengono insinuati dalla comunicazione di dati inesatti.
La messa a punto di un nuovo farmaco, con capacità di innovazione che, quando è realmente significativa, ossia quando migliora la prognosi e/o la qualità di vita, comporta un vantaggio sia per il paziente (più salute) che per l'industria (il ritorno economico sugli in­vestimenti effettuati).

Con la scadenza dei brevetto si apre la competizione basata sui prezzi. Questa è resa più concreta dalla relativa scarsezza di molecole realmente innovative che consente a molti prodotti di mantenere inalterata la loro validità terapeutica, oltre la scadenza del brevetto.

Si stima, infatti, che oltre un quarto del mercato farmaceutico attuale sia rappresentato da prodotti lanciati sul mercato più di 20 anni fa.

Pertanto molecole ancora ampiamente prescritte e non più protette dal brevetto possono essere commercializzate come farmaci generici a prezzo nettamente inferiore ma pur sempre remunerativo per il produttore. La legislazione vigente garantisce che i farmaci generici immessi in commercio hanno la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi dei prodotti di riferimento, la stessa forma farmaceutica, biodisponibilità, effetti clinici e indicazioni terapeutiche.

Il farmaco generico, senza interferire negativamente sul ciclo dell'innovazione (il brevetto è scaduto e l'impresa è già stata finanziata) e senza entrare in conflitto con gli interessi del singolo paziente (a parità di indicazione ha la stessa attività terapeutica), permette una tangibile riduzione di spesa con la possibilità di allocare ad altre destinazioni i risparmi realizzati. Costituisce inoltre uno stimolo alla ricerca (se non innovi, perisci).

Tuttavia le aziende cercano di mettere in atto tutte le strategie possibili per "difendersi" dal le intrusioni dei generici. In fondo, meno le idee sono chiare in questo settore e maggiore è la probabilità che, alla scadenza del prodotto, le prescrizioni vengano indirizzate verso farmaci più nuovi e costosi ma non più efficaci di quelli più vecchi, anche per il timore che il generico possa procurare svantaggi ai pazienti. Chi è a conoscenza di studi che dimostrano la non equivalenza di un generico rispetto al prodotto originatore deve segnalarlo alla competente autorità.
Naturalmente si deve precisare la ditta che produce il farmaco e, quando si leggono riviste internazionali, se quel prodotto è in commercio in Italia o in Europa e se per caso non si tratta di segnalazioni vecchie e già superate.
Il medico di fronte ad un insuccesso terapeutico attribuibile a un generico è giusto, come ha richiamato l'Aifa, che faccia la segnalazione, anche se, nei caso di malattie ad andamento cronico, molto spesso non è facile distinguere fra sintomi dovuti alla progressione della malattia e reazioni avverse ai farmaci.

Le cautele richiamate per i generici sono in realtà atteggiamenti che dovremmo mettere sempre in pratica quando si prescrivono farmaci. Invocarle solo perché si stanno maneggiando generici appare pretestuoso e atto a fomentare la sfiducia in un settore nel quale non se ne avverte veramente la necessità.

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